IL TRIBUNALE

    Letti  gli  atti  del  procedimento  penale n. 4210/05 R.G. Trib.
contro  Amahmoud  Youssef,  nato a Casablanca (Marocco) l'11 novembre
1969,  imputato  del  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-ter, primo
periodo,  come  modificato  dalla  legge  12  novembre  2004, n. 271,
perche',  cittadino  straniero,  destinatario  di  provvedimento  del
Questore  di  Torino,  (notificatogli  il  5  marzo 2003 a seguito di
decreto  di  espulsione  del  prefetto fondato sui motivi di cui alla
lettera   b)  dell'art. 13,  comma  2  citato),  con  intimazione  di
allontanarsi dal territorio entro cinque giorni, non ottemperava alla
stessa,  trattenendosi  nello Stato ove veniva reperito. Accertato in
Torino il 12 agosto 2005.

                            O s s e r v a

    L'imputato,  tratto  in  arresto  in  data  12  agosto  2005  per
violazione  all'art.  14,  comma 5-ter, decreto legislativo 25 luglio
1998,  n. 286, modificato dall'art. 1, commi 5-bis e 6 della legge 12
novembre  2004, n. 271, veniva presentato dal pubblico ministero, per
la  convalida  dell'arresto  ed il conseguente giudizio direttissimo,
all'udienza  del  16 agosto 2005. Convalidato l'arresto e disposta la
liberazione dell'arrestato non avendo il p.m. richiesto l'adozione di
alcuna  misura  cautelare,  in  base  alla  richiesta  dell'imputato,
presentata  tramite  il  difensore  munito  di  procura  speciale, si
procedeva  con  rito  abbreviato.  All'esito della discussione questo
giudice   ritiene   di  dover  sollevare  incidente  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 5-bis, legge citata, nella parte in
cui  prevede  la  pena  della reclusione da uno a quattro anni per lo
straniero  che  senza giustificato motivo si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione dell'ordine impartito dal questore ai sensi
del  comma  5-bis  in  riferimento  agli  artt. 3 e 27, comma 3 della
Costituzione,  pena  edittale  che  consente  anche  l'adozione delle
misure cautelari di cui agli artt. 280 e segg. c.p.p.
    La rilevanza della questione risiede nel fatto che, se si dovesse
pervenire  ad  un  giudizio  di  colpevolezza  dell'Amahmoud, sarebbe
comminata  la  pena  prevista  dalla  norma  della  cui  legittimita'
costituzionale  si  dubita  ed al cui riguardo si svolgono i seguenti
rilievi.
    La  permanenza  in  Italia  dello  straniero  «senza giustificato
motivo»  e  nonostante  il  provvedimento del questore di lasciare il
territorio nazionale entro cinque giorni in caso di impossibilita' di
trattenimento presso un centro di permanenza temporanea o di scadenza
del  termine di permanenza senza esecuzione dell'espulsione nel testo
originario  dell'art. 14, decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286,
era  sprovvista  di  specifica  sanzione,  pur essendo controverso se
fosse  sanzionabile penalmente col ricorso alla disposizione generale
di  cui  all'art. 650  c.p.  La  legge  30  luglio  2002,  n. 189, ha
introdotto  una  fattispecie  contravvenzionale  ad  hoc punibile con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un  anno,  con arresto obbligatorio del
contravventore  e  sua  espulsione  eseguita  tramite accompagnamento
coattivo alla frontiera. Caduta la porzione della norma che prevedeva
l'arresto   obbligatorio  per  effetto  della  sentenza  della  Corte
costituzionale  in  data  15  luglio  2004, n. 223, che ha dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies, per
contrasto  con  gli  articoli  3  e  13  Cost.  «nella  parte  in cui
stabilisce  che  per  il  reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art. 14 e' obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto», interveniva
il  legislatore  con  la  legge 12 novembre 2004, n. 271, operando un
ampio   rimaneggiamento   della   norma  e  reintroducendo  l'arresto
obbligatorio   per   le  fattispecie  trasformate  in  delitto.  Tale
intervento   ha   determinato   un   effetto  pirotecnico  nel  magma
indifferenziato  della previgente fattispecie, che sanzionava in modo
identico  le  permanenze  ingiustificate nel territorio in violazione
dei  provvedimenti del questore che davano esecuzione a provvedimenti
di  espulsione  ministeriali  o  prefettizi.  Ora  la stessa condotta
diventa  un  delitto  ovvero  rimane  una  contravvenzione ovvero non
configura   alcun   illecito  penale  (esiste  soltanto  la  sanzione
amministrativa  dell'accompagnamento  alla frontiera) a seconda della
provenienza  e  della  natura  dell'espulsione presupposta. Pertanto,
permane  l'illiceita'  penale  nel caso di espulsione pronunciata dal
prefetto  cui  e'  data  esecuzione da parte del questore. Se essa e'
stata  disposta  per  ingresso  illegale sul territorio nazionale «ai
sensi  dell'art. 13, comma 2, lettere a) e c)» ovvero per aver omesso
di richiedere il permesso di soggiorno nel termine di legge, il reato
di inottemperanza, senza giustificato motivo, all'ordine del questore
e'  un  delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni; se il
motivo  che  ha  determinato l'espulsione e' la mancata richiesta del
rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da piu' di sessanta giorni,
resta  l'illecito  contravvenzionale punito con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno.  Se  l'ingiunzione  del  questore  e'  attuativa di una
espulsione  disposta  dal Ministro dell'interno «per motivi di ordine
pubblico  o  di  sicurezza  dello stato» (es. espulsione per i motivi
suddetti  di  donna  incinta  di  cui  si  ignora  la nazionalita' e,
pertanto,    non    suscettibile    di   esecuzione   immediata   con
accompagnamento alla frontiera), la sua inosservanza non e' assistita
dalla  tutela  penale  in quanto le ragioni dell'espulsione avvengono
per tipologie non omologhe a quelle per le quali e' dato ricorrere da
parte  del  prefetto  (cui  nell'esempio  citato  sarebbe precluso il
rinvio  della  straniera  allo  stato  di  appartenenza), ne' e' dato
avvalersi  di  operazioni  ermeneutiche basate sull'analogia, vietata
nel campo penale.
    Il  reato  per  cui e' stato tratto in arresto Amahmoud Youssef e
per   il  quale  il  p.m.  ha  proceduto  con  giudizio  direttissimo
configura, in base alla nuova normativa, una delle ipotesi delittuose
che  hanno avuto un notevole inasprimento di pena e che, ad avviso di
questo   giudice,   presenta   profili   di  incostituzionalita'  con
riferimento ai citati articoli della Costituzione.
    E'  insegnamento  costante di codesta Corte che uno scrutinio che
investa   direttamente  il  merito  delle  scelte  sanzionatorie  del
legislatore  e' possibile soltanto ove «l'opzione normativa contrasti
con  il  principio  di  eguaglianza,  sotto  il profilo dell'assoluta
arbitrarieta'  o  della  manifesta irragionevolezza» (sentenze n. 206
del  2003, n. 287 del 2001 e n. 313 del 1995 nonche' ordinanze n. 323
del  2002,  n. 110  del  2002,  n. 144  del  2001  e n. 58 del 1999).
Occorre,  in altri termini, interrogarsi «sul perche' una determinata
disciplina     operi,    all'interno    del    tessuto    egualitario
dell'ordinamento,  quella  specifica equiparazione (oppure, a seconda
dei casi, quella specifica distinzione), traendone, quindi, le debite
conclusioni in punto corretto uso del potere normativo. Solo nel caso
in cui una siffatta verifica dovesse evidenziare una carenza di causa
o  ragione  della  disciplina  introdotta  potra' dirsi realizzato un
vizio  di  legittimita'  costituzionale  della norma, proprio perche'
fondato  sulla  irragionevole  omologazione  di  situazioni  diverse»
(sentenze  n. 5  del  2000  e n. 89 del 1996). Il giudizio presuppone
l'individuazione   di   un  tertium  comparationis  rappresentato  da
fattispecie   omologhe  a  quella  prevista  dalla  norma  censurata,
ricavabili  da  norme  incriminatici  poste  a  tutela  degli  stessi
interessi  (individuati  nell'ordine  e  nella  sicurezza pubblica) e
strutturanti  con  modalita'  identiche  o,  quantomeno,  analoghe la
condotta  (sentenze  n. 409  del 1989 e n. 341 del 1994). Nel caso in
argomento sono ipotizzabili due raffronti della norma che si censura:
uno  ristretto  alle  fattispecie previste dall'art. 14, comma 5-ter,
decreto-legge  n. 286/1998,  l'altro  con fattispecie non contemplate
dalla disciplina sull'immigrazione.
    Con riferimento al primo profilo si osserva che la norma in esame
non  mira  a  reprimere  la  semplice  clandestinita', che continua a
restare  penalmente  irrilevante,  ma  quella  qualificata dal previo
ordine  del questore di lasciare il territorio nazionale. Pertanto si
vuole  combattere  il  fenomeno  della  irregolare  permanenza  dello
straniero  nel  territorio  dello  stato, di per se' considerato come
lesivo  dell'ordine  pubblico.  Ora,  se  questa e' la funzione della
comminatoria  penale, gia' non si comprende perche' alcune ipotesi di
irregolare  permanenza  (e  si tratta di casi di alto allarme sociale
perche'  riferibili a stranieri espulsi dal Ministro dell'interno per
motivi  di  ordine  pubblico  e  sicurezza pubblica), diversamente da
quanto  accadeva  in precedenza, non configurino ora alcun reato. Non
solo,  altre condotte che parimenti si sostanziano in inosservanza di
omologhi provvedimenti della stessa autorita' (questore), sono puniti
in  forma  differenziata nonostante ledano lo stesso interesse. Si e'
gia'   osservato   che   l'elemento   differenziatore  prescelto  dal
legislatore  non  e'  la  condotta, ma il fatto che ha determinato il
provvedimento  di espulsione. Lo straniero regolarmente soggiornante,
il  cui  permesso  sia scaduto senza che sia stato chiesto il rinnovo
nei  sessanta  giorni  successivi alla scadenza, fruisce di un doppio
trattamento  di  favore: la sua espulsione non viene in prima battuta
eseguita  coattivamente,  ma riceve soltanto l'intimazione a lasciare
il territorio nazionale entro quindici giorni dalla notificazione del
provvedimento;  inoltre,  se  si  trattiene in spregio all'ordine del
questore  di  lasciare  il  territorio  dello  Stato,  e'  punito con
l'arresto  da  sei  mesi  ad  un anno. Viceversa lo straniero che sia
stato  espulso  o perche' entrato in Italia sottraendosi ai controlli
di  frontiera e non e' stato respinto, o perche' si e' trattenuto nel
territorio  dello  Stato  senza aver chiesto il permesso di soggiorno
nel  termine  prescritto,  salvo  che  il ritardo sia dipeso da forza
maggiore,  ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o
annullato  o  perche'  appartiene  a  taluna delle categorie indicate
nell'art. 1  della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito
dall'art. 2  della  legge  3 agosto 1988, n. 327, o nell'art. 1 della
legge  31  maggio  1965,  n. 575,  come sostituito dall'art. 13 della
legge 13 settembre 1982, n. 646, e' punito con la reclusione da uno a
quattro   anni.   Ne   discende   che   condotte  analoghe  a  quella
contravvenzionale  in precedenza indicata sono sanzionate, non solo a
titolo  di  delitto,  ma con una pena il cui minimo e' parametrato al
massimo  dell'unica  fattispecie rimasta di natura contravveazionale.
Ora,   se  il  principio  di  uguaglianza  esige  che  «la  pena  sia
proporzionata al disvalore del fatto illecito commesso in modo che il
sistema  sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa
sociale  ed a quella di tutela delle posizioni individuali» (sentenza
n. 409  del 18 luglio 1989), tutte le condotte di trattenimento dello
straniero  nel  territorio  italiano  ledono  con modalita' oggettive
identiche lo stesso bene. E', infatti, dalla inosservanza dell'ordine
del  questore di lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale
che  prende  avvio l'aggressione al bene giuridico tutelato ed in cui
si  sostanzia  la  colpevolezza  dell'autore del fatto. Differenziare
identiche  fattispecie  (talune penalmente indifferenti, altre punite
in  modo  lieve,  altre  in  modo  estremamente  pesante)  in  base a
situazioni  che  precedono  la  condotta  e  non  rivelano  una reale
dannosita' sociale, significa disancorare il giudizio di offensivita'
(che  costituisce  la sintesi della relazione sussistente tra il bene
giuridico  protetto  dalla norma incriminatrice e il fatto) dal fatto
stesso;   significa,   in   ultima   analisi,   sanzionare   in  modo
differenziato,  e  percio',  arbitrario  ed irragionevole, situazioni
omologhe.
    La  comparazione  si  presenta  fattibile  anche  con altre norme
incriminatici    presenti    in    campi    diversi   dalla   materia
dell'immigrazione.  Cosi'  appare  similare alla fattispecie in esame
quella  prevista dall'art. 650 del codice penale, laddove punisce con
l'arresto  fino  a  tre  mesi  o con l'ammenda l'inottemperanza ad un
provvedimento legalmente dato dall'autorita' per ragioni di sicurezza
pubblica  o  d'ordine  pubblico.  Tutela  parimenti tale interesse la
violazione  del  provvedimento  di  rimpatrio  emesso dal questore ai
sensi  dell'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 e punita con
l'arresto  da  uno  a  sei mesi. Al riguardo pare interessante notare
come  con  l'entrata  in  vigore  del decreto-legge 30 dicembre 1989,
n. 416,   la   giurisprudenza   si   fosse   posto   il  problema  se
l'inosservanza da parte dello straniero della intimazione di lasciare
il   territorio   dello  stato  fosse  rapportabile  alla  violazione
dell'art. 650  del  codice  penale  e  si  dovesse  applicare la pena
prevista da tale norma. La risposta era stata negativa sol perche' si
era  osservato  che  per  la  violazione  era  prevista  la  sanzione
amministrativa dell'immediato accompagnamento alla frontiera ai sensi
dell'art.  7, comma 9 del decreto-legge citato, disposizione speciale
rispetto  alla  generica previsione di cui all'art. 650 codice penale
(Cass.  pen., sez. I, 26 marzo 1998, n. 1229). Tutto cio' dimostra la
stretta  parentela esistente tra la norma contenuta nel codice penale
e quella speciale prevista nel campo dell'immigrazione, parentela non
rinnegata  dalla  formulazione  in  termini  di «reato di flagranza»,
modulata  sulla  persistente  illiceita'  del  trattenersi in Italia,
situazione   che   comunque   consegue   ad  una  ingiustificata  non
attivazione   a   fronte  del  provvedimento  di  allontanamento  del
questore.  Si deve ancora tener presente che l'espulsione puo' essere
disposta dal prefetto per le stesse categorie di persone destinatarie
del  provvedimento  di  rimpatrio  con  una  comunanza di esigenze di
tutela  della  sicurezza pubblica davvero eclatante. Eppure, a fronte
delle  stesse  esigenze di tutela della collettivita', il trattamento
sanzionatorio   appare   smaccatamente   differenziato   e  ben  piu'
favorevole per il cittadino, che, per quanto pericoloso egli sia, non
puo'  essere allontanato dal territorio nazionale. Non solo, come tra
breve  si  vedra',  la  irragionevole  ed  arbitraria  disparita'  di
trattamento  di  situazioni  omologhe  sfavorisce  lo  straniero e lo
discrimina   dal   cittadino  con  riferimento  ad  uno  dei  diritti
fondamentali (liberta' personale).
    Esiste  stretta  connessione tra il principio di proporzionalita'
della  pena, ricavabile dall'art. 3 Cost., e la finalita' rieducativa
della  sanzione  criminale  sancita  dall'art.  27,  comma  3  Cost.,
finalita'  non  limitata alla sola fase dell'esecuzione, essendo «una
delle  qualita'  essenziali e generali che caratterizzano la pena nel
suo   contenuto   ontologico,   e  l'accompagnano  da  quando  nasce,
nell'astratta  previsione  normativa,  fino  a  quando in concreto si
estingue: tale finalita' implica un costante principio di proporzione
tra  qualita'  e  quantita'  della  sanzione, da una parte, e offesa,
dall'altra»  (sentenza  n. 313 del 1990). Pertanto e' stato affermato
che  «la palese sproporzione del sacrificio della liberta' personale»
provocata  dalla  previsione  di  una  sanzione penale manifestamente
eccessiva  rispetto  al  disvalore  dell'illecito  «produce  ...  una
vanificazione    del   fine   rieducativo   della   pena   prescritto
dall'art. 27,  comma  3  della  Costituzione,  che di quella liberta'
costituisce  una  garanzia  istituzionale  in relazione allo stato di
detenzione»  (sentenza  343  del  1993).  A  fronte  di cio', occorre
domandarsi;  a  due  anni  di  distanza  dall'emanazione  della legge
189/2002 il sensibile inasprimento di pena per molte delle ipotesi di
inottemperanza  da  parte  dello straniero all'ordine del questore e'
almeno  giustificato da finalita' generalpreventive? La risposta pare
essere   negativa   se   si  osserva  il  fenomeno  dell'immigrazione
clandestina  nella  sua  dimensione  storica  (e comunque i mutamenti
sanzionatori non paiono rapportabili all'eventuale modesto incremento
dei  flussi  migratori).  In  ogni  caso  non  va  dimenticato quando
osservato,  in  via  generale,  da  codesta  Corte  e  cioe'  che «il
principio  di  proporzionalita'  ...  nel  campo  del  diritto penale
equivale  a  negare  legittimita'  alle  incriminazioni che, anche se
presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
prevenzione,  producono,  attraverso la pena, danni all'individuo (ai
suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
tutela  dei  beni  e  valori  offesi  dalle  predette incriminazioni»
(sentenza   n. 409   del   1989).  Peraltro,  leggendo  la  relazione
all'emendamento  del decreto-legge n. 241/2004, che ha introdotto una
cosi'  elevata  sanzione,  si  nota  come i relatori giustifichino la
modifica  legislativa  soltanto  con  riferimento  alla necessita' di
adeguarsi  alla  sentenza  della Corte costituzionale n. 223 del 2004
che  aveva  ritenuto  costituzionalmente illegittimo l'art. 14, comma
5-quinquies,  della  legge  sull'immigrazione  «nella  parte  in  cui
stabilisce  che  per  il  reato previsto dal comma 5-ter del medesimo
art. 14  e'  obbligatorio  l'arresto  dell'autore  del  fatto» per la
manifesta   irragionevolezza   della   previsione   di   una   misura
precautelare  non suscettibile di sfociare in alcuna misura cautelare
in  base  al  vigente  ordinamento  processuale.  In altri termini la
trasformazione  in  delitto  e l'aumento di pena e' stato dettato dal
solo   scopo   di   ripristinare   l'arresto   obbligatorio  ritenuto
illegittimo  dalla Corte; non a caso il limite edittale massimo della
pena e' fissato in quattro anni di reclusione, presupposto minimo per
l'adozione  della  custodia  cautelare  in carcere (art. 280, comma 2
c.p.p.).  Pertanto  la risposta sanzionatoria e' stata scollegata dal
grado  di  offensivita'  della  condotta  e  strumentalizzata  ad una
finalita'  meramente  processuale,  quella  di giustificare l'arresto
obbligatorio  in flagranza e di garantire lo svolgimento del giudizio
direttissimo  in  tutte  le  ipotesi previste dal codice di procedura
penale.   Ora,   se   si  ritorna  al  raffronto  tra  la  disciplina
dell'ingiustificato   trattenimento   in  Italia  dello  straniero  e
l'inosservanza   del   provvedimento   di  rimpatrio  si  osserva  un
differente  ed  incomprensibile  trattamento  del bene della liberta'
personale  nel  caso in cui i destinatari siano le persone pericolose
di  cui  all'art. 1, legge 1243/1956, e cio' nonostante codesta Corte
abbia  affermato  che  «per  quanto  gli interessi pubblici incidenti
sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano
essere  percepiti  come  gravi  problemi  di  sicurezza  e  di ordine
pubblico   connessi   a  flussi  migratori  incontrollati,  non  puo'
risultarne   minimamente   scalfito  il  carattere  universale  della
liberta'   personale,  che,  al  pari  degli  altri  diritti  che  la
costituzione  proclama  inviolabili,  spetta ai singoli non in quanto
partecipi  di una determinata comunita' politica, ma in quanto esseri
umani» (sentenza n. 105 del 2001).
    In conclusione, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata
per le ragioni appena esposte la questione sopraindicata.